Tematiche di ricerca in

 METEOROLOGIA, CLIMATOLOGIA ED OCEANOGRAFIA
www.meteo.unina.it

 

Gruppo di Ricerca

Prof. Nicola Scafetta (Responsabile) Prof. Adriano MazzarellaQuesto indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

Linee di ricerca

Prof. Nicola Scafetta (Analisi e modellizzazione dei cambiamenti climatici)
Prof. Adriano Mazzarella (Caratterizzazione meteo-climatica dei siti urbani)
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. (Biometeorologia e inquinamento atmosferico - cultore della materia)

 

Argomenti trattati

  1) Cambiamenti climatici globali e locali
  2) Attività solare e interazioni tra le forzanti astronomiche e i sistemi geofisici terrestri
  3) Maree atmosferiche, oceaniche e terrestri
  4) Circolazione dell’atmosfera e degli oceani
  5) Livelli medi degli oceani e dei mari
  6) Urbanizzazione e clima
  7) Inquinamento atmosferico e medicina ambientale
  8) Caratterizzazione  caotica e frattale di fenomeni naturali
  9) Analisi e modellistica per previsioni climatiche
10) Storiografia della meteorologia, climatologia ed oceanografia
 

Presentazione generale di meteorologia, climatologia e oceanografia

 
La meteorologia è lo studio dei contingenti fenomeni del tempo, la climatologia è lo studio dell’insieme delle condizioni meteorologiche di una località o di una regione su un arco di almeno 30 anni, e l’oceanografia è lo studio di tutto ciò che si riferisce agli oceani e i mari. Sin dall’antichità queste discipline sono state fondamentali per sviluppo della civiltà umana, e nel lavoro e nella vita di tutti i giorni. L’industria, il commercio, l’agricoltura, la produzione di energia, i trasporti, l’economia, la tutela della salute e dell’ambiente, la protezione civile, lo sport, il turismo, l’edilizia, la navigazione, la pesca, la caccia, il cinema e perfino la moda sono tutti settori che sono stati e continuano ad essere notevolmente influenzati da queste scienze.  
 
L'Osservatorio Meteorologico di S. Marcellino dell'Università degli Studi di Napoli Federico II offre corsi di meteorologia, climatologia e oceanografia. La nostra ricerca si propone di scoprire e capire come funzionano i fenomeni ambientali. Studiamo come questi sistemi sono fisicamente interconnessi, come essi sono collegati alla geologia e alla geofisica della terra solida, quali la sismologia e vulcanologia, e come dipendono dall'attività del sole e dell’intero sistema solare. Affrontiamo anche questioni su come l'attività umana possa influenzare ambienti locali e globali e causare cambiamenti climatici. Infine, studiamo come prevenire o attenuare gli effetti negativi dei cambiamenti ambientali e/o il modo di adattarsi ad essi al fine di ottenere i migliori benefici economici e sociali possibili. Un attento studio del meteo, del clima e degli oceani è necessario per comprendere le tematiche ambientali dalle quali dipende gran parte della prosperità umana sul nostro pianeta. 
 
immagine con Terra e Sole
 
L'Osservatorio Meteorologico dell'Università di Napoli Federico II è in prima linea per affrontare questioni di grande interesse generale come il riscaldamento globale della Terra. Il riscaldamento globale osservato sin dal 1850 è stato comunemente attribuito all’immissione in atmosfera di grandi quantità di gas ad effetto serra (per esempio l’anidride carbonica, il metano, ecc.) prodotti da attività umane. I cambiamenti climatici associati al riscaldamento globale possono influenzare gli eventi meteorologici estremi (ad esempio, la frequenza di straordinari eventi di pioggia, neve, uragani, ecc.) e le dinamiche, la chimica e la biologia degli oceani. Ad esempio, il livello dei mari può aumentare o diminuire e modificare la geografia delle coste con enormi ripercussioni economiche e sociali. Tuttavia, oggi stiamo anche sperimentando un periodo di intenso antropocentrismo ideologico che presenta l'uomo come l’unico artefice dei cambiamenti, nel bene e nel male, del motore termico del sistema atmosfera-terra-oceano, e c’è una illusione diffusa che l'uomo possa controllare il clima. Al contrario, una descrizione e quantificazione corretta della variabilità naturale del sistema climatico è la base per un'adeguata valutazione del contributo antropico ad essa, e per ogni decisione politica relativa a questo argomento. Diversi studi recenti, compresi quelli pubblicati da noi, hanno messo in luce l'esistenza di particolari oscillazioni climatiche naturali alle scale decennali, secolari e millenarie. Stiamo indagando sulle origini interne, solari e astronomici della variabilità climatica naturale. Capire le dinamiche dell'atmosfera e degli oceani è essenziale per una corretta interpretazione sia dei cambiamenti climatici del passato che di qualsiasi attendibile previsione del clima globale e locale al breve, medio e lungo termine.
Temperatura del pianeta Terra nel tempo
I corsi di meteorologia, climatologia e oceanografia sono progettati anche per educare gli studenti a familiarizzare meglio con il metodo scientifico. Questo è caratterizzata da un attento confronto tra le analisi empirico-fisiche dei fenomeni naturali e le previsioni dei modelli teorici. Ad esempio, uno dei paradigmi dominanti della scienza moderna è quello di studiare e capire come i sistemi complessi (ad esempio quelli meteorologici, climatici ed oceanici) funzionano. Nei sistemi complessi i processi fisici e chimici sono regolati da parametri dinamici e termodinamici interconnessi tra loro e regolati da innumerevoli risposte positive e negative. Tradizionalmente, si è supposto che un fenomeno fisico potesse essere descritto dal set delle equazioni fisiche dei suoi componenti. Tuttavia, il metodo analitico è strutturato nel riduzionismo filosofico. Questo approccio analitico è inefficiente per descrivere sistemi complessi in cui gran parte dell’informazione è ancora incerta. I sistemi complessi sono spesso caratterizzati da caos, dove gli eventi microscopici sono in grado di attivare eventi macroscopici e, di conseguenza, questi sistemi possono essere imprevedibili: in questo senso si è soliti dire che dopo un mese il battito di una farfalla in Amazzonia potrebbe scatenare una tempesta a New York. Forme complesse di sincronizzazione e teleconnessioni, attivabili da deboli accoppiamenti fisici, anche caratterizzano i network fisici. La debolezza dell'approccio riduzionista può essere superato con approcci empirici ed olistici che stiamo sviluppando. L'atmosfera e sistemi oceanici devono essere analizzati nella loro interezza al fine di individuarne ed evidenziarne la variabilità naturale relativa a quella antropica.
 
planisfero
 
In meteorologia, climatologia ed oceanografia l’unico modo per ottenere informazioni accurate è quello di fare misure al posto giusto e al momento giusto, e non affidarsi esclusivamente all’uso di computer e modelli matematici. E’ attraverso lo strumento di misura che il mondo della scienza matura ed arriva a sostituirsi al mondo del pressappochismo. Nel passato l’attenzione alle problematiche meteorologiche ed ambientali era maggiore; basti pensare che nel secolo scorso erano operative altre tre stazioni meteorologiche all’interno della città di Napoli: l’Osservatorio Astronomico, l’Osservatorio Vesuviano e le Terme di Agnano. Tali stazioni sono state una alla volta incredibilmente dismesse. Solo in questi ultimi anni, l’Osservatorio Meteorologico of S. Marcellino ha cercato di portare avanti una politica di adozione delle numerose stazioni meteo già operanti sul territorio della Regione Campania in maniera del tutto disarticolata, attivando convenzioni con diversi Enti.
 
C’è infatti una richiesta sempre maggiore di informazione meteorologica che, però, in Italia non è soddisfatta da una corrispondente offerta didattica ed informativa nello stesso ambito universitario. L’Osservatorio Meteorologico della Federico II offre agli studenti ed ai ricercatori una opportunità unica a riguardo. L’Istituto ISAFOM del CNR ha chiesto ed ottenuto l’installazione di ulteriori sensori meteo, quali l’anemometro sonico e il minilidar per la misura dello strato atmosferico di rimescolamento  e delle concentrazioni e flussi di CO2, H2O, CH4, O3, NO, NO2, NOx, polveri sottili di diverse bande dimensionali (PM1, PM2.5, PM10). L'installazione delle nuove strumentazioni, operative  sin dal  mese di novembre 2014, hanno di fatto  promosso l’Osservatorio Meteorologico di S. Marcellino a supersito per il monitoraggio dell’inquinamento atmosferico che  l’Organizzazione Mondiale della Sanità ritiene una delle più importanti cause di morte per chi vive nelle grandi città. Il supersito di S. Marcellino, unico in Italia, sarà in grado di fornire finalmente accurate informazioni e previsioni della qualità dell’aria. Sono ormai maturi i tempi per creare un servizio di previsione meteorologica affidato alle Università e di considerare il clima e il tempo argomenti di interesse generale. Per maggiori dettagli visita: http://www.ariasana.org/
 
strumentazione dell'Osservatorio
 
Infine, l’Osservatorio Meteorologico della Federico II studia l’ambiente cittadino che ci circonda per migliorare la qualità della vita cittadina. Ad esempio, la città di Napoli, come tutte le città metropolitane, è affetta dall’isola di calore urbana che trae origine sia dal tipico assetto geometrico delle città, con strade relativamente strette rispetto alle dimensioni verticali degli edifici, sia dal particolare tessuto urbano, costituito in prevalenza da asfalto, calcestruzzo, mattoni e cemento che assorbono in media il 10% in più di energia solare. In estate, nelle ore più assolate, l’asfalto e le pareti esterne degli edifici delle città raggiungono spesso temperature superiori a 60-90 °C. I canyon urbani sono in grado di catturare una maggiore quantità di radiazione solare attraverso un processo di riflessioni multiple degli stessi raggi solari che, in una specie di ping-pong, rimangono intrappolati dalle pareti dei palazzi e dal fondo stradale. L’isola di calore urbana è resa più intensa anche dall’estensione piuttosto ridotta, entro il perimetro cittadino, di superfici evaporanti, come specchi d’acqua, prati ed alberi. Infatti l’evaporazione da parte dei suoli umidi o bagnati, oppure da parte delle foglie della vegetazione, sottrae all’aria enormi quantità di calore (ben 600 calorie per ogni grammo di acqua che evapora). E’ evidente quindi che ad una minore evaporazione da parte delle aree urbane rispetto a quelle rurali corrisponde un minor raffreddamento dell’aria che sovrasta le città. Se nel periodo invernale l’isola di calore urbana comporta un aumento dei valori di temperatura all’interno delle città mitigando le basse temperature, questo fenomeno può risultare particolarmente dannoso per la salute umana nella stagione estiva in corrispondenza delle ondate di calore quando la temperatura dell’aria, oltre a raggiungere valori più elevati rispetto alle aree rurali circostanti nelle ore diurne, si mantiene elevata anche nelle ore notturne, alterando le capacità di ripresa dell’organismo umano dalle condizioni di estremo calore a cui è stato sottoposto nelle ore diurne. Inoltre l’isola di calore urbana è in grado di cambiare drasticamente le stratificazioni d’aria di equilibrio termodinamico che governano la stabilità delle masse d’aria e la diffusione degli inquinanti per cui risulta importante eseguire una zonazione climatica dettagliata dell’intera area metropolitana con l’ausilio di stazioni fisse e mobili dislocate in orizzontale e in verticale in modo strategico al fine di identificare i diversi microclimi della città.
 
torretta meteo
 
Gli studenti dell’Università di Napoli Federico II sono invitati a seguire i corsi di meteorologia, climatologia e oceanografia che provvedono a fornire quel complemento necessario per una formazione scientifica equilibrata. Ricercatori in matematica, fisica e scienze naturali sono stimolati nell’affrontare tematiche che hanno una grossa valenza sia globale che locale.
 
 
Collaborazioni
Benedetto De Vivo (Inquinamento ambientale)
Rosa di Maio (Natural and anthropical hazards)
- AriaSana ISAFOM CNR (Microclimatic characterization of the metropolitan air of Naples and of Campania)
- ACRIM (Active Cavity Radiometer Irradiance Monitor, San Diego, California USA)
- Duke University (Department of Anesthesiology: Center for Hyperbaric Medicine & Environmental Physiology, North Carolina, USA)
 
 
 
Selezione di pubblicazioni recenti:
 
Scafetta N., Mazzarella A.: Evidences for a spectral coherence between decadal and multidecadal climatic oscillations and the M>7 earthquake historical worldwide record. Natural Hazards, in press, http://dx.doi.org/10.1007/s11069-014-1571-z
 
Scafetta, N.: Discussion on the spectral coherence between planetary, solar and climate oscillations: a reply to some critiques. Astrophysics and Space Science 354, 275-299, 2014, http://dx.doi.org/10.1007/s10509-014-2111-8
 
Donadio C., Magdaleno F.,  Mazzarella A., Kondolf  K. G.: Fractal dimension of the hydrographic pattern of three large rivers in the Mediterranean morphoclimatic system: geomorphologic interpretation of Russian (USA), Ebro (Spain) and Volturno (Italy) fluvial geometry. Pure Applied Geophysics,  in press, http://dx.doi.org/10.1007/s00024-014-0910-z
 
Scafetta, N., Willson R. C.: ACRIM total solar irradiance satellite composite validation versus TSI proxy models. Astrophysics and Space Science 350(2), 421-442, 2014, http://dx.doi.org/10.1007/s10509-013-1775-9
 
Scafetta, N.: The complex planetary synchronization structure of the solar system. Pattern Recognition in Physics 2, 1-19, 2014, http://dx.doi.org/10.5194/prp-2-1-2014
 
Scafetta N.: Multi-scale dynamical analysis (MSDA) of sea level records versus PDO, AMO, and NAO indexes. Climate Dynamics 43(1-2), 175-192, 2014, http://dx.doi.org/10.1007/s00382-013-1771-3
 
Scafetta N.: Global temperatures and sunspot numbers. Are they related? Yes, but non linearly. A reply to Gil-Alana et al. (2014). Physica A, 413, 329–342, 2014, http://dx.doi.org/10.1016/j.physa.2014.06.047
 
Tammaro U., Riccardi U., Sorrentino V., Forte I. (2014): “Non-geodetic” approaches in the analysis of terrestrial CDGPS data for the retrieval of the atmospheric precipitable water at local scale during severe weather phenomena. p. 169-174. IEEE Catalog Number CFP1466H-CDR; ISBN: 978-1-4799-4989-2
 
Scafetta N., Willson R. C.: Planetary harmonics in the historical Hungarian aurora record (1523–1960). Planetary and Space Science 78, 38-44, 2013, http://dx.doi.org/10.1016/j.pss.2013.01.005
 
Scafetta N.: Discussion on common errors in analyzing sea level accelerations, solar trends and global warming. Pattern Recognition in Physics, 1, 37–57, 2013, http://dx.doi.org/10.5194/prp-1-37-2013
 
Scafetta N., Willson R. C.: Multi-scale comparative spectral analysis of satellite total solar irradiance measurements from 2003 to 2013 reveals a non-linear planetary modulation of solar activity depending on the 11-year solar cycle. Pattern Recognition in Physics 1, 123-133, 2013, http://dx.doi.org/10.5194/prp-1-123-2013
 
Scafetta N.: Solar and planetary oscillation control on climate change: hind-cast, forecast and a comparison with the CMIP5 GCMs. Energy & Environment 24(3-4), 455–496, 2013, http://dx.doi.org/10.1260/0958-305X.24.3-4.455
 
Scafetta N., Willson R. C.: Empirical evidences for a planetary modulation of total solar irradiance and the TSI signature of the 1.09-year Earth-Jupiter conjunction cycle. Astrophysics and Space Science 348(1), 25-39, 2013,http://dx.doi.org/10.1007/s10509-013-1558-3
 
Scafetta, N.: Discussion on climate oscillations: CMIP5 general circulation models versus a semi-empirical harmonic model based on astronomical cycles. Earth-Science Reviews 126, 321-357, 2013,http://dx.doi.org/10.1016/j.earscirev.2013.08.008
 
Mazzarella A., Giuliacci A., Scafetta N.: Quantifying the Multivariate ENSO Index (MEI) coupling to CO2 concentration and to length of day variations.  Theor. Appl. Climatol., 111, 601-607, 2013, http://dx.doi.org/10.1007/s00704-012-0696-9
 
Mazzarella, A.: Time-integrated North Atlantic Oscillation as a proxy for climatic change. Natural Science, 5, 149-155, 2013, http://dx.doi.org/10.4236/ns.2013.51A023
 
Scafetta N., Humlum O., Solheim J.-E., Stordahl K.: Comment on “The influence of planetary attractions on the solar tachocline” by Callebaut, de Jager and Duhau. Journal of Atmospheric and Solar–Terrestrial Physics 102, 368-371, 2013,http://dx.doi.org/10.1016/j.jastp.2013.03.007
 
Scafetta N.: A shared frequency set between the historical mid-latitude aurora records and the global surface temperature. Journal of Atmospheric and Solar-Terrestrial Physics 74, 145-163, 2012,http://dx.doi.org/10.1016/j.jastp.2011.10.013
 
Scafetta N.: Does the Sun work as a nuclear fusion amplifier of planetary tidal forcing? A proposal for a physical mechanism based on the mass-luminosity relation. Journal of Atmospheric and Solar-Terrestrial Physics 81-82, 27-40, 2012, http://dx.doi.org/10.1016/j.jastp.2012.04.002
 
Scafetta N.: Testing an astronomically based decadal-scale empirical harmonic climate model versus the IPCC (2007) general circulation climate models. Journal of Atmospheric and Solar-Terrestrial Physics 80, 124-137, 2012,http://dx.doi.org/10.1016/j.jastp.2011.12.005
 
Scafetta N.: Multi-scale harmonic model for solar and climate cyclical variation throughout the Holocene based on Jupiter-Saturn tidal frequencies plus the 11-year solar dynamo cycle. Journal of Atmospheric and Solar-Terrestrial Physics 80, 296-311, 2012, http://dx.doi.org/10.1016/j.jastp.2012.02.016
 
Manzi V., Gennari R., Lugli S., Roveri M., Scafetta N., Schreiber C.: High-frequency cyclicity in the Mediterranean Messinian evaporites: evidence for solar-lunar climate forcing. Journal of Sedimentary Research 82, 991-1005, 2012,http://dx.doi.org/10.2110/jsr.2012.81
 
Mazzarella A, Scafetta N.: Evidences for a quasi 60-year North Atlantic Oscillation since 1700 and its meaning for global climate change. Theor. Appl. Climatol., 107, 599-609, 2012, http://dx.doi.org/10.1007/s00704-011-0499-4
 
Scafetta N.: Empirical evidence for a celestial origin of the climate oscillations and its implications. Journal of Atmospheric and Solar-Terrestrial Physics 72, 951-970, 2010, http://dx.doi.org/10.1016/j.jastp.2010.04.015
 
Mazzarella A., Giuliacci A., Liritzis I.: On the 60-month cycle of Multivariate ENSO Index. Theor. Appl. Climatol., 100, 23-27, 2010, http://dx.doi.org/10.1007/s00704-009-0159-0
 
Loehle C., Scafetta N.: Climate change attribution using empirical decomposition of climatic data. The Open Atmospheric Science Journal 5, 74-86, 2011, http://dx.doi.org/10.2174/1874282301105010074
 
Mazzarella A., Giuliacci A., Pregliasco F.:  Hypothesis on a possible role of El Niño in the occurrence of influenza pandemics.  Theor. Appl. Climatol., 105, 65-69, 2011, http://dx.doi.org/10.1007/s00704-010-0375-7
 
Scafetta N.: Empirical analysis of the solar contribution to global mean air surface temperature change. Journal of Atmospheric and Solar-Terrestrial Physics 71, 1916-1923, 2009, http://dx.doi.org/10.1016/j.jastp.2009.07.007
 
Scafetta N., Willson R. C.: 2009. ACRIM-gap and Total Solar Irradiance (TSI) trend issue resolved using a surface magnetic flux TSI proxy model. Geophysical Research Letter 36, L05701, 2009, http://dx.doi.org/10.1029/2008GL036307
 

SUL CLIMA DI NAPOLI

 ADRIANO MAZZARELLA(**)

 (**) gIà Responsabile Osservatorio Meteorologico 

  Dipartimento di Scienze della Terra-  Università degli Studi  di Napoli Federico II   

 Largo S. Marcellino 10  80138 Napoli
 

RIASSUNTO

L’analisi della serie ultracentenaria di dati meteorologici registrati presso l’Osservatorio Meteorologico dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, sito nel centro di Napoli, ha permesso  di  verificare che    il   clima della città  è di tipo subtropicale, debolmente continentale e umido-subumido e di identificare  variazioni  statiscamente significative nel regime termo-pluviometrico, con la quasi scomparsa delle stagioni intermedie, con rovesci di pioggia sempre più intensi ed intervallati da lunghi periodi di siccità e con un numero crescente  di giorni nuvolosi. L’analisi delle differenze di temperatura dell’aria, registrata contemporaneamente al centro di Napoli e sul Vesuvio, ha consentito  di determinare l’intensità dell’isola di calore urbana  che,  nei pomeriggi estivi  e con cielo sereno, è in grado  di emettere una quantità di energia paragonabile a quella indotta del Sole.

1. L’OSSERVATORIO METEOROLOGICO DELL’UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II

L’Osservatorio Meteorologico annesso al Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università degli Studi di Napoli Federico II è sito al centro del centro storico di Napoli (40°50’N; 14°15’; 53 slm) ed è ininterrottamente funzionante dal 1872. I dati meteorologici  sono stati sempre  osservati regolarmente ogni giorno alle 9.00, alle 15.00 e alle 20.00  e  scrupolosamente trascritti su appositi  registri  bollettini_vecchiche riportano  anche annotazioni dell’osservatore sulla provenienza dei tuoni, la presenza della fuliggine in città, l’intensità del pennacchio del Vesuvio etc., fino al 1980 quando è stata messa in funzione una stazione automatica di rilevamento dei dati. Nel 1910, l’Osservatorio fu completamente ristrutturato e riorganizzato dal    prof. Ciro Chistoni chistono , illustre climatologo dell’epoca, Direttore dell’Istituto di Fisica Terrestre  dal 1905 al 1927, Preside della Facoltà di Scienze  nei periodi 1918-1919 e 1925-1927 e Direttore dell’Osservatorio Vesuviano nei periodi  1909-1911 e 1916-1923.) Per un controllo incrociato dei dati, attualmente l’Osservatorio Meteorologico utilizza due stazioni di rilevamento meteorologico in automatico che registrano ogni 10 minuti  i valori dei seguenti parametri: pioggia (mm),  pressione atmosferica (hPa),  temperatura (°C) e umidità (%) dell’aria, radiazione solare globale (W/m2), intensità (m/s) e direzione del vento (°N).  L’utilizzo, inoltre, di una capannina meteorologica contenente termometri a minima e a massima, di un pluviometro, di un anemometro e  di un radiometro   manuali consente un ulteriore controllo sui dati acquisiti dalle stazioni.  Nella tavola I sono riportati per il periodo 1872-2005, distintamente per mese ed anno, i valori medi della temperatura media Tmedia, minima Tmin e massima Tmax, della pioggia, dell’umidità relativa e  della pressione atmosferica. I valori medi della radiazione solare globale sono riferiti  solamente al  periodo  1980-2005.

 

Tavola I

Valori mensili medi delle temperature media, minima e massima, pioggia, umidità relativa . pressiona atmosferica e radiazione  solare globale

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

11

12

anno

Tmedia  (°C)

9.7

10.2

12.3

15.1

19.1

23.0

25.5

25.7

22.9

18.9

14.6

11.2

17.4

Tmin (°C)

6.8

7.0

8.7

11.2

14.8

18.5

21.1

21.2

18.8

15.2

11.5

8.4

13.6

Tmax (°C)

12.6

13.4

15.9

19.1

23.4

27.4

29.9

30.1

27.0

22.5

17.6

14.0

21,1

Pioggia(mm)

94.1

76.6

67.3

67.7

46.4

32.0

16.7

27.0

71.0

120.0

126.6

120.2

865.6

Umidità relativa  (%)

66.0

64.5

62.3

62.9

60.0

57.7

56.4

56.8

60.9

64.3

66.5

68.9

62.3

Pressione  (atmosferica  (hPa)

1012.0

1011.2

1010.3

1008.6

1010.1

1011.0

1010.7

1010.6

1012.1

1011.9

1011.3

1011.1

1010.9

Radiazione solare globale

(W/(m2 giorno)

80.8

92.0

153.2

210.2

270.4

293.4

298.7

255.5

196.9

133.1

85.0

61.6

177.6

Dalla  tavola I emerge  che  la temperatura dell’aria ha  un  massimo tra luglio e agosto  ed un minimo tra gennaio e febbraio. E’ curioso osservare che  una analisi più dettagliata eseguita sui valori giornalieri di temperatura dell’aria mostra che, statiscamente,  il giorno più caldo a Napoli risulta essere  il 26 luglio, giorno di S. Anna, mentre il giorno più freddo risulta il 26 gennaio, in accordo  con la credenza popolare del lombardo-veneto che considera gli ultimi tre giorni di gennaio, noti come i giorni della merla, i giorni i più freddi dell’anno. Dalla tavola I emerge, inoltre,  che la pioggia ha un   massimo tra  ottobre e  dicembre ed un minimo in estate; che l’umidità relativa ha un massimo in inverno ed un minimo in estate; che la pressione atmosferica ha un  massimo  a gennaio e a settembre  ed un  minimo in aprile;  che la radiazione globale raggiunge il massimo a luglio ed il minimo a dicembre. 
 
2. CLASSIFICAZIONE DEL CLIMA  DELLA CITTA’ DI NAPOLI

La classificazione di  un sito viene normalmente eseguita con l’ausilio di alcuni indici  che utilizzano  i valori mensili ed annuali di temperatura dell’aria, umidità relativa e pioggia. Si riportano qui sotto alcuni degli indici climatici più usati.

2.1 Indice di   KOPPEN

L’indice di Koppen (1936) classifica il clima di un sito da un punto di vista strettamente termico in questo modo: 

- clima tropicale, quando la Tmedia mensile > 20°C; 

- clima subtropicale,se da 4  a 11 mesi, la Tmedia  è > 20°C, mentre da  da 1 a 8 mesi è compresa tra 10° e 20°C;

- clima temperato,quando si hanno  meno di 4 mesi con Tmedia >  20°C, da 4 a 12 mesi  con Tmedia fra 10° e 20°C  e meno di 4 mesi con Tmedia < 10°C;

- clima freddo,  quando si hanno  da 1 a 4 mesi con Tmedia fra 10 e 20°C e da 8 a 11 mesi con Tmedia <10°C;

- clima polare, se tutti i 12 mesi hanno Tmedia < 10°C.

 

Utilizzando la classificazione  di Koppen  ed utilizzando la tavola I, il clima di Napoli può essere considerato di tipo  subtropicale.

2.2 INDICE  di  CONTINENTALITA’ di Ivanow

 L’indice K  di Ivanow  (Pinna, 1977) classifica il carattere  di continentalità e di marittimità  di un sito con la seguente formula:

                        K = (AJ+AT+0.25 DF)/(0.36 j+14) x100

dove AJ  = escursione termica annua, AT = escursione diurna media, DF = quantità mancante alla saturazione, cioè il complemento a 100  dell’umidità relativa e  j =  latitudine. Lo schema di classificazione di Ivanow è qui sotto riportato:

Tipo

%

Tipo

%

1. estremamente   oceanico

< 47

6. debolmente  continentale

101-121

2. oceanico

48- 56

7. moderatamente continentale

122-146

3. moderatamente oceanico

57-68

8. continentale

147-177

4. marittimo

69-82

9. fortemente continentale

178-214

5. debolmente  marittimo

83-100

10. estremamente continentale

> 214

Sostituendo i valori per Napoli  pari a    AJ  = 16.0°C;  AT = 8.2°C ; DF  = 38;   j = 41° si ottiene   K = 117.

Utilizzando la classificazione di  Ivanow,  il clima di Napoli può essere considerato  debolmente continentale.

 

2.3 INDICE DI ARIDITA’ di  DE  MARTONNE

L’indice A di aridità di De Martonne  (1941)  classifica il carattere  di aridità  di un sito  con la seguente formula:

A= P/(T+10)

 

dove  P = precipitazione annuale; T = temperatura media annua

Lo schema di classificazione di De Martonne è qui sotto riportato:

  

Tipo

Valori indice

Tipo

Valori indice

1. arido estremo (deserto)

0-5

4. subumido

20-30

2. arido(steppe circumdesertiche)

5-15

      5. umido

30-60

3. semiarido (tipo mediterraneo)

15-20

6. perumido

> 60

Sostituendo i valori per Napoli  pari a P = 865.6 mm , T =17.4°C  si ottiene: 

A= 865.6/(17.4+10) = 31.6

U0tilizzando  la classificazione di De Martonne ed utilizzando la tavola I, il clima di Napoli può essere considerato al limite tra i tipi  subumido e umido.

 

3. TEMPERATURA  DELL’ARIA

3.1 VARIAZIONI STAGIONALI

E’ largamente diffusa nell’opinione dei napoletani  la convinzione  che le stagioni intermedie  siano scomparse  e che si passi improvvisamente dall’inverno all’estate. Manca però una evidenza rigorosa dal punto di vista statistico di tale convinzione ed il motivo è da ricercarsi  soprattutto  nell’inadeguatezza dei metodi utilizzati e dei parametri meteorologici utilizzati. L’analisi della temperatura dell’aria eseguita sulle serie delle temperature medie giornaliere non fornisce quasi mai  buoni risultati  perchè il valore medio  giornaliero non è per nulla rappresentativo dell’andamento quasi sinusoidale della temperatura dell’aria nell’arco del giorno; i valori della temperatura dell’aria,  misurata con una cadenza specifica, capitano molto più frequentemente intorno al  minimo ed al   massimo giornaliero, dove la variazione della derivata  è minima,  che  intorno  al valore medio giornaliero dove la variazione della derivata  è molto rapida; le temperature  minima Tmin  e massima  giornaliere   Tmax  sono direttamente misurabili con  termometri a minima e a   massima e   rappresentano  il valore della temperatura dell’aria in corrispondenza  di   bilanci energetici minimo e massimo  fra la   radiazione corta incidente  del Sole e quella lunga reirradiata lunga dalla Terra. Da qui la superiorità di una analisi  che utilizzi le temperature dell’aria estreme giornalere. Per verificare, allora, una possibile  variabilità stagionale  della temperatura dell’aria,  sono state analizzate le medie mensili di Tmin e Tmax e, per ciascuno dei  12 mesi, sono state  calcolate  le variazioni secolari di temperatura (Palumbo and Mazzarella, 1984). I risultati sono riportati in Tavola II:

 

Tavola II

Aumento delle temperature medie mensili  minime e massime osservate a Napoli dal 1872 al 2005

 

Tmin (°C)

Tmax (°C)

Gennaio

1.6

0.8

Febbraio

1.9

1.9

Marzo

1.4

0.7

Aprile

1.6

1.2

Maggio

2.5

1.5

Giugno

1.9

2.3

Luglio

1.8

1.0

Agosto

1.0

2.2

Settembre

2.1

1.0

0Ottobre

1.2

1.0

Novembre

1.2

0.8

Dicembre

1.6

0.9

 

La tavola II mostra che l’aumento maggiore  capita  nei mesi di maggio e di settembre per le  Tmin e  nei mesi di giugno e di agosto per le Tmax, indicando che le temperature minime di maggio e di settembre  tendono a quelle di giugno e  di agosto, mentre le temperature massime di giugno  tendono a quelle di luglio e  di agosto. Ne consegue che la durata dell’estate a Napoli sta effettivamente  aumentando a discapito  delle stagioni equinoziali. 

 

3.2 VARIAZIONI SECOLARI

Nella tavola III sono riportati i valori medi  per quinquenni della Tmin e  Tmax dal 1872 al 2005,  in quanto l’analisi dei dati medi ottenuti per ragguppamenti di più anni ha mostrato che la media su 5 anni fornisce il valore ottimale della stabilità statistica.  I dati delle Tmin    e Tmax sono stati riportati anche per le stagioni invernali (novembre, dicembre, gennaio, febbraio)  ed estive (maggio,  giugno,  luglio, agosto).

 

Tavola III

Valori  delle temperature medie minime e massime osservate a Napoli dal 1872 al 2005

 

 

QuinquennioTminTmaxTmin estateTmin invernoTmax estateTmaxi nverno

1872-1876

 13.0

21.5

 18.3

  7,7

 28.0

 14.7

1877-1881

 12.9

21.4

 18.0

  7.7

 27.8

 14.9

1882-1886

 12.6

20.9

 17.6

  7.7

 27.3

 14.4

1887-1891

 12.4

20.2

 17.9

  6.9

 27.4

 13.1

1892-1896

 12.1

20.7

 17.2

  7.0

 27.3

 13.8

1897-1901

 13.3

20.8

 18.2

  8.5

 27.0

 14.6

1902-1906

 13.6

20.1

 18.8

  8.3

 26.7

 13.5

1907-1911

 13.7

19.9

 18.9

  8.8

 26.6

 13.1

1912-1916

 13.7

20.7

 18.6

  9.2

 27.0

 14.3

1917-1921

 13.7

20.6

 19.2

  8.5

 27.1

 14.1

1922-1926

 13.7

20.3

 18.8

  8.6

 26.4

 14.3

1927-1931

 14.1

21.3

 19.9

  8.4

 28.4

 14.3

1932-1936

 13.7

21.5

 18.8

  8.6

 27.9

 14.9

1937-1941

 13.2

20.8

 18.5

  8.0

 27.5

 14.1

1942-1946

 14.2

21.7

 20.4

  7.9

 28.7

 14.2

1947-1951

 14.7

22.1

 20.2

  9.1

 28.8

 15.1

1952-1956

 13.8

21.5

 19.4

  8.1

 28.4

 14.4

1957-1961

 14.5

22.8

 19.7

  9.7

 28.5

 15.6

1962-1966

 14.3

21.8

 19.7

  8.8

 28.6

 14.9

1967-1971

 13.9

21.4

 19.2

  9.0

 28.2

 14.8

1972-1976

 14.1

21.2

 19.5

  9.2

 28.0

 14.8

1977-1981

 14.3

21.3

 19.5

  9,5

 27.9

 14.7

1982-1986

 14.0

21.0

 20.0

10.0

 28.0

 15.0

1987-1991

 14.9

21.0

 20.3

  9.0

 26.0

 14.8

1992-1996

 14.6

20.5

 20.6

 9.3

 26.8

 14.6

1997-2001

 15.1

21.6

 20.2

10.2

 26.7

 15.7

2002-2006

 15.3

20.8

 21.1

  9.9

 27.0

 14.8

In figura  sono riportati gli stessi valori medi  quinquennali delle temperature minime e   massime riportati in Tavola 1 ma espressi  come anomalie   rispetto al valore medio del trentennio  1961-1990, scelto come riferimento delle variazioni di temperatura a scala globale (Folland et al., 2001). Incrementi statisticamente significativi  di 2.3°C si sono riscontrati nelle Tmin e, più accentuatamente,  nelle Tmin  in estate; diversamente  nessuna delle  serie delle Tmax mostra alcuna variazione staticamente  significativa. Questo probabilmente  perché la  Tmin è un parametro più stabile,  perché normalmente misurato  alla fine della notte quando l’atmosfera è più quieta,  e  la  Tmax   è un parametro più instabile perché normalmente misurato nel pomeriggio  quando l’atmosfera è più turbolenta a causa dei moti convettivi  (Mazzarella e Ciatti, 1986).  

 

4.    PRECIPITAZIONI PIOVOSE

Manca una evidenza statistica rigorosa della cosiddetta tropicalizzazione delle piogge, ossia del cambiamento del regime pluviometrico con  piogge giornaliere che tendono  a  distribuirsi in maniera sempre più irregolare nell’arco dell’anno e con rovesci sempre più intensi e localizzati. Il motivo è da ricercarsi  nel fatto che, a tutt’oggi,   il clustering delle precipitazioni giornaliere  è misurato  con il numero dei giorni piovosi che capitano all’interno di un determinato periodo senza prendere minimamente in considerazione le irregolarità della distribuzione dei giorni piovosi   all’interno del periodo  esaminato.  Per superare questa limitazione,  si è  rivolto l’attenzione alla geometria frattale  (Mandelbrot, 1983) che cerca di superare  le inadeguatezze  delle geometria topologica ed euclidea introducendo la dimensione frattale (dal latino fractus = frazionario). Le dimensioni topologica  (DT) ed euclidea (DE) di insiemi geometrici assumono solo valori interi 0,1,2,3 (per alcuni insiemi  possono essere uguali) differentemente dalla dimensione frattale che, tenendo conto delle irregolarità della distribuzione degli elementi dell’insieme, assume  tutti i valori frazionari compresi fra 0 e 3 . Si è applicato l’algoritmo frattale della Polvere di Cantor (vedi appendice) al catalogo giornaliero di eventi piovosi registrati a Napoli dal 1872  (Mazzarella, 1999); si è  diviso l’intervallo t0, all’interno del quale sono compresi tutti gli eventi del catalogo,  in una serie di n più piccoli intervalli di lunghezza t = t0 /k con  k = 2,3,4.. e si  è calcolata  la percentuale  R = N/k di N intervalli di lunghezza  t occupati da almeno un  evento. La stima della dimensione frattale D  è ottenuta risolvendo la relazione di potenza non lineare :                           

R = C t(1-D)

o, equivalentemente, su un piano log-log, la relazione lineare:

                                               log(R) = log(C) + (1-D) log(t)              

                

dove C è una costante .  Per calcolare la significatività  della variazione secolare della dimensione frattale D, si sono seguiti due criteri  diversi:  con il primo criterio si è image001 calcolata  la dimensione frattale per successivi intervalli di 3 anni ,  mentre con il secondo criterio si è  calcolata la dimensione frattale per successivi 500 piovosi eventi. Dalle figure 5a e 5b, emerge una netta e statiscamente  significativa  diminuzione nel tempo della dimensione frattale, ad indicare che le piogge giornaliere tendono a distribuirsi in maniera sempre più irregolare durante l’anno e con rovesci sempre più isolati e localizzati nell’arco degli anni (Mazzarella, 2001).

 

4.1 CATALOGO DEI ROVESCI PIU’ INTENSI  A NAPOLI

 

Nella tavola IV è riportato  il catalogo delle precipitazioni maggiori di 80 mm cadute nell’arco delle 24 ore, in almeno una delle seguenti stazioni prese a riferimento all’interno della città di Napoli: l’Osservatorio Metorologico dell’Università di Napoli  Federico II, l’ex Servizio Idrograficio e Mareografico (Annali Idrologici dell’Ufficio  Idrografico e Mareografico di Napoli, 2000),  e l’Osservatorio Astronomico (Guerrieri, 1935; Nicolini, 1956). Si può   facilmente  verificare che nel periodo che va dal 1870 al 1930 si è superato la soglia di 100 mm solo 3 volte, mentre dal 1930 al 2003 per ben 9 volte, con  un netto aumento  negli ultimi 60 anni.

 

TAVOLA IV

Catalogo delle precipitazioni maggiori  di 80 mm cadute , nell‘arco delle 24 ore, in almeno una delle stazioni qui sotto riportate

N

Anno

Mese

Giorno

Osservatorio Capodimonte

Dipartimento di Scienze della Terra

Servizio Idrografico Mareografico Napoli

1

1885

10

15

60

82

2

1889

12

27

92

89

3

1890

12

2

81

83

4

1910

10

24

120

99

5

1911

9

21

73

89

6

1915

9

2

110

90

7

1915

10

1

89

89

8

1918

6

6

78

91

9

1918

10

5

125

99

10

1920

6

20

51

87

11

1921

10

27

68

92

12

1922

11

4

77

94

13

1925

9

28

90

91

14

1930

10

25

69

83

15

1933

11

23

86

85

103

16

1947

9

6

126

103

>> 

17

1948

9

5

106

68

85

18

1051

9

25

75

63

80

19

1952

10

23

100

87

82

20

1953

12

20

77

81

85

21

1957

10

22

95

64

54

22

1961

10

7

82

68

75

23

1969

9

19

74

83

87

24

1973

1

2

91(2)

114

94

25

1978

9

5

82 (1)

77

88

26

1979

10

28

119 (1)

138

133

27

1980

11

13

60 (1)

61

81

28

1981

10

21

68 (1)

72

108

29

1985

11

16

95 (1)

114

168

30

1986

11

21

22 (1)

86

44

31

1986

11

23

68 (1)

96

62

32

1987

11

9

76 (1)

98 (2)

136

33

1990

4

9

53 (1)

59(2)

89

34

1995

4

15

62

114 (2)

81

35

1996

9

20

58

57

87

36

2001

9

15

140

olte 100 (2)

167

37

2003

9

9

80

100

 Valore medio annuo

883±20

866±16

890±20

(1) Serbatoio;  (2) Capodichino.

Il rovescio più intenso è stato quello del 15 settembre 2001 (Mazzarella, 2001; Braca et al., 2002) quando, nelle prime ore del mattino, un nubifragio, in circa 3 ore, scaricò sulla città circa la sesta parte della quantità di pioggia che cade normalmente in un anno, provocando due vittime, diffusi dissesti ed ingenti danni, in seguito ai quali alla città fu riconosciuto lo stato di calamità naturale.

 

5.  NUVOLOSITA’ 

Nella tavola V  sono  riportati il numero dei giorni  coperti/nuvolosi  e sereni  osservati presso l’Osservatorio Meteorologico dell’Università di Napoli Federico II, per venticinquenni, in quanto l’analisi dei dati medi ottenuti per ragguppamenti di più anni ha mostrato che la media su 25 anni fornisce il valore ottimale della stabilità statistica.

 
Tavola  V

Numero di giorni con cielo nuvoloso/coperto e sereno a Napoli

Venticinquenni
Numero di giorni con cielo sereno
Numero di giorni con cielo misto o coperto
1876-1900
160
205
1901-1925
164
201
1926-1950
141
224
1951-1975
125
240
1976-2000
120
245

Si rilevano decrementi significativi (intorno  al 25%) nel numero dei giorni  sereni  per anno e incrementi significativi  (intorno al 20 % ) nel numero di giorni nuvolosi o misti  per anno. L’incremento della nuvolosità è da porre in relazione all’incremento dei nuclei di condensazione, del flusso verticale di calore e dei moti convettivi indotti dall’isola di calore urbana. 

 

 

6.  COMPARAZIONE FRA I DATI METEOROLOGICI OSSERVATI A NAPOLI CENTRO E PRESSO L’OSSERVATORIO VESUVIANO

Le cospicue e significative variazioni secolari identificate nelle serie ultracentenarie della temperatura dell’aria, della precipitazione e della nuvolosità misurate all’interno della città di  Napoli  non possono essere connesse solamente allo sviluppo dell’urbanizzazione in quanto potrebbero essere correlate  a variazioni globali e a  scala più ampia. Per superare questo limite, sono state  analizzate le  serie storiche delle differenze tra i valori di temperatura dell’aria osservati contemporaneamente presso l’Osservatorio Meteorologico dell’Università Federico II, nel  centro urbano di Napoli,   e  sul Vesuvio (40° 49’N; 14°26’E;  612 m slm), ad una  distanza di appena  15 km e  il cui intorno non ha subito nel tempo  modificazioni di carattere antropico  (Palumbo and Mazzarella, 1981). Le serie di tali  differenze di temperatura  contengono in sé quelle informazioni, filtrate dell'effetto delle variazioni a larga scala, generalmente ampie e perciò difficili da eliminare statisticamente.  Nella tavola VI e in figura 6 sono riportati i valori medi  delle differenze di Tmin e Tmax, per quinquenni, in quanto l’analisi dei dati medi ottenuti per ragguppamenti di più anni ha mostrato che la media su 5  fornisce il valore ottimale della stabilità statistica.  I dati delle differenze  delle Tmax e Tmin sono stati riportati anche per le stagioni invernali (novembre, dicembre, gennaio, febbraio)  ed estive (maggio,  giugno,  luglio, agosto).

 

Tavola VI

   

Valori medi quinquennali delle differenze tra i valori delle temperature minime e massime dell’Osservatorio Meteorologico dell’Università di Napoli Federico II  e dell’Osservatorio Vesuviano.

Quinquennio Tmin Tmax Tmin estate Tmin inverno Tmax estate Tmax inverno

1923-1927

3.40

3.20

3.47

3.11

2.86

3.43

1928-1932

3.35

4.12

3.64

2.86

4.52

3.43

1933-1937

2.83

4.25

2.91

2.62

4.81

3.50

1938-1942

3.38

3.79

3.73

3.10

4.23

3.90

1943-1947

3.39

4.38

4.04

2.93

4.81

3.91

1948-1952

3.46

5.86

3.45

3.48

5.81

4.48

1953-1957

3.23

5.07

3.45

3.08

5.78

4.33

1958-1962

3.75

4.64

3.75

3.78

5.36

3.90

1963-1967

4.11

5.28

3.71

4.03

5.91

4.53

1968-1972

3.64

4.81

3.80

3.53

5.36

4.27

 

 Incrementi statisticamente significativi di 1.8°C e di 0.7°C  si sono riscontrati nelle temperature massime e minime, rispettivamente e, più accentuatamente, nelle Tmax, in estate e nelle Tmin, in inverno. Questi risultati indicano che il clima di Napoli dal 1923 al 1972 si è riscaldato sempre di più per la presenza di una intensa isola di calore urbana. Purtroppo la stazione sul Vesuvio è stata incredibilmente dismessa nel 1973 impedendo di fatto la investigazione di una eventuale accentuazione  dell’isola di calore urbana. Solo recentemente è stata installata sul cratere del Vesuvio, a cura dell’Osservatorio Meteorologico dell’Università di Napoli Federico II, una nuova stazione meteorologica che sarà   presa a riferimento nei prossimi anni.

 

7. ISOLA DI CALORE URBANA

La città di Napoli poggia su di un insieme di edifici craterici, solcati da canaloni che di per sè ostacolano la circolazione dell'aria nei quartieri più bassi. Il processo di urbanizzazione si è sviluppato negli ultimi decenni con una velocità tale che oggi il 90 % dell'area del centro urbano è coperta da manufatti che ulteriormente  riducono la circolazione aerea. Le numerose pareti verticali sono responsabili di sensibili modificazioni nel bilancio energetico, sia per l'elevata capacità termica dei materiali di rivestimento che per il minor valore dell'albedo rispetto alla campagna. In area urbana, infatti, le radiazioni vengono continuamente riflesse tra il suolo e le pareti verticali per cui la quantità di calore, ritenuta dai manufatti urbani, è di gran lunga superiore a quella assorbita da un piano orizzontale come l'area rurale.  Tutto questo determina la nascita e lo sviluppo di un'area urbana in grado di determinare sensibili alterazioni nei dati microclimatici locali (WMO, 2004), spesso difficili da valutare in termini quantitativi per la complessità del fenomeno.  E’ ragionevole  considerare l’intera  città come un corpo nero, cioè un corpo ideale capace di assorbire tutte le radiazioni incidenti e di emettere radiazione alla massima intensità per ogni lunghezza d’onda. Un corpo nero segue la legge di Stephan:

E = s T4

dove  s  è la  costante di Stephan pari a 5.67 x 10-8 W m-2 K-4 e  T è la temperatura del corpo  in gradi K.  Da campagne di misure effettuate con una  termocamera e con strumentazioni di precisione, è stato possibile misurare valori  della temperatura in diverse aree della città di Napoli e in diversi periodi dell’anno.  Questo ha permesso  di  assumere 50°C come il valore tipico estivo  della città di Napoli. Considerando la città un corpo nero con T= 323 K ed   applicando  la legge di Stephan  si ottiene che l’energia E che fuoriesce dalla città risulta  pari a  600 W/m2.  Presso l’Osservatorio Meteorologico a  Napoli centro, nei pomeriggi estivi  e  con cielo sereno,  la radiazione solare  R risulta essere pari a circa  1000 Watt/m2 con un  flusso di energia uscente  H,  dato da: H = 0.4 (R- 100)  (Pasquill and Smith, 1983),    pari a  360  W/ m2. E’ come se a Napoli, in estate, nelle ore di massima insolazione, splendessero due Soli:  O Sole mio, che sta scomparendo per l’aumento della nuvolosità,  e   la città stessa che emette energia  quanto il Sole vero.

5.     DISCUSSIONE E CONCLUSIONI

 La città di Napoli, come tutte le città metropolitane, è affetta dall’isola di calore urbana  che trae origine sia dal tipico assetto geometrico delle città, con strade relativamente strette rispetto alle dimensioni verticali degli edifici,  sia  dal particolare tessuto urbano, costituito in prevalenza da asfalto, calcestruzzo, mattoni e cemento che assorbono in media il 10% in più di energia solare. In estate, nelle ore più assolate, l’asfalto e le pareti esterne degli edifici delle città raggiungono spesso temperature superiori a 60-90°C. I  canyon urbani sono in grado di  catturare una maggiore quantità di radiazione solare attraverso  un processo di  riflessioni multiple degli stessi raggi solari che, in una specie di ping-pong, rimangono intrappolati  dalle pareti dei palazzi e dal fondo stradale. L’isola di calore urbana è resa più intensa anche dalla estensione piuttosto ridotta, entro il perimetro cittadino, di superfici evaporanti, come specchi d’acqua, prati ed alberi. Infatti l’evaporazione da parte dei suoli umidi o bagnati, oppure da parte delle foglie della vegetazione, sottrae all’aria enormi quantità di calore  (ben 600 calorie per ogni grammo di acqua che evapora). E’ evidente quindi che a una minore evaporazione da parte delle aree urbane rispetto a quelle rurali corrisponde un minor raffreddamento dell’aria che sovrasta le città. Se nel periodo invernale l’isola di calore urbana  comporta un aumento dei valori di temperatura all’interno delle città mitigando le basse temperature, questo fenomeno può risultare particolarmente dannoso per la salute umana nella stagione estiva in corrispondenza delle ondate di calore quando  la temperatura dell’aria, oltre a raggiungere valori più elevati rispetto alle  aree rurali circostanti nelle ore diurne, si mantiene elevata anche nelle ore  notturne, alterando le capacità di ripresa dell’organismo umano dalle condizioni di  estremo calore a cui è stato sottoposto nelle ore diurne (Di Cristo et al., 2006). Inoltre l’isola di calore urbana è in grado di cambiare drasticamente le stratificazioni d’aria di equilibrio termodinamico che governano  la stabilità delle masse d’aria e la diffusione degli inquinanti per cui  risulta importante  eseguire una zonazione climatica dettagliata delll’intera area metropolitana  con l’ausilio di stazioni fisse e mobili dislocate in orizzontale e in verticale in modo  strategico al fine di identificare i diversi microclimi della città. In meteorologia, l’unico modo per  ottenere informazioni vere  è quello di fare misure al posto giusto e al momento giusto e non affidarsi esclusivamente all’uso di  computer e modelli matematici. Giova osservare  che è attraverso lo strumento di misura che il mondo della scienza arriva a sostituirsi al mondo del pressappoco (Koyrè, 1961). Nel passato l’attenzione alle problematiche meteorologiche ed ambientali era maggiore; basti pensare  che  nel secolo scorso  operative altre tre  stazioni meteorologiche  all’interno della città di Napoli:  l’Osservatorio Astronomico, l’Osservatorio Vesuviano e le Terme di Agnano. Tali stazioni sono state una alla volta  incredibilmente dismesse impededendo così ogni tentativo di  quantificazione  dell’intensità dell’isola di calore urbana. Solo in questi ultimi anni,  l’Osservatorio Meteorologico  dell’Università degli Studi   di Napoli Federico II  sta  cercando di portare avanti una politica  di adozione  delle numerose stazioni meteo già operanti  sul territorio della Regione Campania in maniera del tutto disarticolata,  attivando convenzioni con il Servizio  Agrometeorologico della Regione Campania, il Corpo Forestale dello Stato, l’Ente Porto, l’ENAV, l’UGM, le Terme di Agnano, la Provincia di Salerno, le Comunità Montane, gli Istituti Nautici, le Amministrazioni Comunali, le Aziende  di Agriturismo e produttrici di vino di qualità quali la prestigiosa Azienda Mastroberardino e molti  privati. Con questa politica di adozione,  la rete meteorologica dell’Università di Napoli Federico II  può ora contare  su circa 65 stazioni  distribuite  sull’intero  territorio Regionale da Gaeta (LT) nel basso Lazio, fino a Greci (AV) nell’appennino Dauno e   a Sapri (SA) nel basso Cilento, tutte consultabili  via modem in tempo reale e capaci di fornire preziose informazioni per una affidabile previsiosbe del tempo in Campania. C’è una richiesta sempre maggiore  di informazione meteorologica che,  però, in Italia non è soddisfatta da una corrispondente offerta didattica ed informativa nello stesso ambito universitario. Basti pensare che presso l’Ateneo Federiciano, corsi  di  Climatologia sono accesi solo per  Scienze della Natura e Scienze Geologiche; che  presso  il corso di Laurea di Scienze Ambientali, istituito da  pochi anni  presso la Federico II e  che  presso la stessa Facoltà di Scienze ambientali della seconda Università non sono  contemplati minimamente corsi del genere, come se l’ambiente dovesse prescindere dalla fisica dell’atmosfera. Sono ormai maturi  i tempi per creare un servizio di previsione meteorologica  affidato alle Università  e di  considerare  il clima e il tempo  argomenti di interesse generale e  non  più solo un pretesto per scambiare quattro chiacchiere al bar.

 

APPENDICE

GEOMETRIA FRATTALE

La geometria frattale si sforza di superare la rigidità della geometria euclidea aggiungendo  alla dimensione intera euclidea un decimale  che tiene conto del grado di rozzezza di un oggetto o della irregolarità di una successione di eventi. 

Secondo la geometria frattale,  una palla di biliardo ha dimensione euclidea pari a 3 e dimensione topologica e frattale pari a 2 mentre una palla da tennis ha una dimensione euclidea pari a 3, una dimensione topologica pari a 2 e una dimensione  frattale pari, per esempio, a 2.5 con il decimale  che tiene conto del grado di  ruvidezza della palla da tennis. Alla base  della geometria frattale è, inoltre,  la proprietà dell’invarianza di scala secondo la quale gli oggetti piccoli si distribuiscono con la  la stessa legge di potenza di distribuzione degli oggetti grandi.  L’idea di un  microscosmo quale versione  ridotta del macrocosmo fu intuita già nel 1600 da Leibinitz secondo il quale piccole porzioni del mondo (monadi) erano complesse ed organizzate come le porzioni più grandi.  Per calcolare la dimensione frattale di un insieme di eventi come, per esempio, quelli piovosi, è  stato utilizzato l’algoritmo della Polvere di Cantor (fig. 7) (Mazzarella, 1998) che è così organizzato. Si    incomincia con una linea e si procede ad eliminare la terza parte centrale (r = 1/3)  conservando le rimanenti 2 (N = 2) terze parti; quindi si elimina la terza parte centrale dei segmenti rimanenti, conservando sempre le 2 terze parti e   si continua  nello stesso modo. La Polvere di Cantor è l’insieme  di punti che rimane e la loro distribuzione è ben misurata dalla dimensione frattale D così definita:

                D = log(N)/(log(1/r) =log(2)/log(3) = 0.6309                               

Più isolati sono gli eventi minore è il valore di D. Mandelbrot (1983) fu il primo a  utilizzare la Polvere  di Cantor alla base del modello per la distribuzione degli errori in una linea di trasmissione telefonica; periodi di trasmissione senza errori erano mescolati a periodi in cui gli errori erano concentrati in un arco di tempo molto ristretto. Ma questi periodi di errori, esaminati con maggiore precisione, contenevano periodi senza errori. Lo stesso modello si ripeteva passando  a scale sempre più piccole: era questo un esempio di tempo frattale. Ad ogni scala temporale, dalle ore ai secondi, Mandelbrot scoprì che il rapporto fra errori e trasmissione pulita rimaneva costante.

 

 

 BIBLIOGRAFIA

Annali Idrologici : Ufficio  Idrografico e Mareografico di Napoli, 2000

Braca G., Mazzarella A., Tranfaglia G.:  Il nubifragio del 15 settembre 2001 su Napoli e dintorni, Quaderni Geol. Appl., 9, 107-118, 2002.

Di Cristo R., Mazzarella A., Viola R.: Hourly  discomfort conditions in the city  of Naples (Southern Italy) estimated by the  heat index, Natural Hazards, 2006.

De Martonne E., Nouvelle carte mondiale de l’indice d’ariditè, La meteorologie, 1, 3-20, 1941.

Guerrieri E.: Rovesci e massima intensità di pioggia oraria, diurna, mensile, stagionale caduta a Capodimonte  nei periodi (1888-1933) (1866-1933), Memorie del R. Ufficio Centrale di Meteorologia e Geofisica Roma, serie III-vol. V, 1-28,   1935.

Koppen W., Geiger R., Handbuch der klimatologie, Berlino 1936 

Mandelbrot B.: The Fractal Geometry of Nature,  Freeman and Company, N.Y., 468 pp.. 983

Mazzarella  A.: Multifractal  dynamic rainfall processes  in Italy, Theor. Appl. Climatol., 63, 73-78,1999.

Mazzarella A.: Nubifragio a Napoli: purtroppo non sarà l’ultimo, Stop Disasters, Educ. Amb.- Lab. Territ. Campania, Nov, 2001, n. 6, 4-5, 2001

Mazzarella A., Ciatti A.: Macchie solari e clima a Napoli, Boll. Soc. Natur. Napoli, 95, 201-209, 1986.

Nicolini  T. Il clima di Napoli-Capodimonte. Mem. Oss. Astron. Capodimonte, 1956.

Palumbo  A., Mazzarella  A.: The  heat-island  over   Naples, Weather, 36, 28-29, 1981.

Palumbo A., Mazzarella A.: Local recent changes in extreme air temperatures, Clim.  Change,  6, 303-309, 1984.

Pasquill F., Smith F.B.: Atmospheric diffusion, 437 pp., 1983.

Pinna M., Climatologia, UTET, 442 pp., 1977.

WMO. Urban climates. WMO Tech.. Note. n. 109. Geneve (2004).

 
 

STRUMENTAZIONE METEOROLOGICA STORICA

a cura della dott.ssa Alessia Saggese
Anemometro
bandieruolaL'anemometro è uno strumento utilizzato per misurare la velocità del vento (m/s) e la direzione del vento (°N).
 Per quel che riguarda il suo funzionamento, possiamo notare che la massa d'aria in movimento fa ruotare la banderuola in modo che essa punti verso la direzione di provenienza dell’aria stessa; un’elettrocalamita trasforma poi la velocità di rotazione delle coppe in impulsi di corrente tanto più elevati quanto maggiore è la velocità. Tali impulsi vengono inviati ad un computer che elabora il valore della velocità con una determinata frequenza di campionamento.
 
 
 Per caratterizzare una massa d’aria in movimento si analizzano due variabili:
 
1) l'intensità (ossia la velocità)
2) la direzione.
 Per meglio definire la natura del fenomeno, consideriamo sia la velocità media che la velocità massima delle raffiche. Esprimiamo la velocità del vento in m/s. Per definire la direzione con una maggiore precisione ci si riferisce alla misura geometrica dell'angolo giro, come indicato nella nota "rosa dei venti": 0° corrisponde al Nord, e, procedendo in senso orario, Est = 90°, Sud = 180° e Ovest = 270°.
 

Storia dell’anemometro

L’anemometro è uno strumento per misurare la velocità del vento. Fu inventato nel 1450 da Leon Battista Alberti e poi rivisto da Leonardo da Vinci. Lo strumento era munito di una tavoletta mobile la cui inclinazione dava una misura della forza del vento. Gli anemometri dotati di palette o di eliche mobili derivano probabilmente dai mulini a vento. A partire dal Settecento molti anemometri utilizzarono il sistema su menzionato. E’ degno di nota un anemometro registratore ideato del francese Ons-en-Bray nel 1734, che era per quei tempi un gioiello della meccanica. Furono anche realizzati particolari anemometri che, sfruttando la pressione del vento, facevano variare l’altezza di un liquido contenuto in un tubo, consentendo in tal modo la misurazione. Un tipo di strumento, che oggigiorno è ancora in uso, fu proposto nel 1845 dall'astronomo irlandese Thomas Robinson. L'apparecchio è munito di una ruota con tre o più bracci sui quali sono fissate delle coppette metalliche che ruotano sotto l'influsso del vento: queste azionano un contatore. Dal numero di giri effettuati per unità di tempo è possibile risalire alla velocità del vento. L'Ottocento vide un'enorme diffusione di apparecchi per registrare la direzione e la velocità del vento e che spesso costituivano parte di grandi meteorografi.
anemometro a lamelleVissuto fra la fine del ‘400 e l’inizio del ‘500, Leonardo disegna due tipi d'anemometri il cui scopo è la determinazione del verso di provenienza e dell'intensità del vento. Il primo, anemometro a lamelle o pennello, è composto da un legno graduato dotato di una lamina che si sposta in funzione della forza del vento. Lo strumento serviva per lo studio delle condizioni atmosferiche ed anche nei suoi studi sulla sicurezza del volo per l’uomo. Il disegno dell'anemometro, databile tra il 1483 ed il 1486, è accompagnato da una interessante didascalia in cui Leonardo evidenzia la necessità di affiancare a questo strumento un orologio al fine di poter determinare la velocità del vento : "A misurare quanta via si vada per ora col corso d'un vento. Qui bisogna un orilogio che mostri l'ore, punti e minuti ". Per individuare la direzione della corrente d’aria, Leonardo disegna un anemoscopio a banderuola che ruota su se stesso disponendosi nella stessa direzione della corrente; mentre per l’intensità del vento progetta un anemometro a lamina metallica verticale incernierata su un'asta di supporto. La lamina è libera di oscillare sotto la pressione del vento ed il suo spostamento lungo una scala graduata semicircolare indica il valore dell’intensità.
 
L’ anemometro a lamelle (imbuto) è, invece, un modello a tubi conici che Leonardo studia per verificare che la pressioneanenometro del vento che fa girare le ruote è proporzionale all’apertura dei coni attraverso i quali passa l’aria, data la stessa intensità del vento. Nella tavola verticale si aprono due fori ("buche" o "busi"). La superficie del secondo è di cinque volte superiore a quella del primo. Detti fori sono "piramidati" ossia formano la base di un cono o imbuto il cui vertice forato è posto davanti a pale rotanti su uno stilo orizzontale, su cui si avvolge la corda che solleva un peso. Chiuso il secondo foro, si misura di quanto il soffio del vento attraverso il primo solleva il peso. Chiuso il primo e aperto il secondo il sollevamento del peso dovrebbe essere superiore di cinque volte.
Per verificare l'assenza di variazioni nella pressione del vento si può usare il "pennello" disegnato più in alto, cioè lo stesso anemometro a lamelle presentato nel cod. Atlantico f. 675.
 
 
 

Anemografo

 
anemografoL’anemografo posizionato presso l’osservatorio nel 1970, registra in forma grafica le informazioni sulla direzione e sulla velocità del vento.
 
 
Storia dell’anemografo:
Uno dei più grandi studiosi dell'anemometro è stato il napoletano Luigi Palmieri che, nella seconda metà dell'ottocento, oltre a vari altri strumenti, ha inventato un anemometro a mercurio e un anemografo: nel primo caso, si trattava di uno strumento in cui le coppette messe in moto dal vento comprimevano una camera d'aria la quale, a sua volta, faceva salire o scendere la colonnina di mercurio Lo strumento, un po' complesso, era però scientificamente corretto in quanto, applicando varie formule fisiche, si riusciva a stabilire una relazione matematica tra la velocità del vento e la posizione della colonnina di mercurio. Ancora più ingegnoso è l'anemografo di Palmieri: le coppette in rotazione erano collegate a una vera e propria macchina scrivente alimentata elettricamente da un circuito a pile. La macchina azionava le matite registrando in tal modo la direzione e la velocità del vento: un vero precursore delle moderne stazioni meteo elettroniche.
 

 Pluviometro

 
Il pluviometro è uno strumento utilizzato per misurare la quantità di pioggia caduta (mm oppure l/m2).
 Sulla nostra stazione sono presenti tre pluviometri:
 1)Pluviometro manuale: costituito da un contenitore cilindrico, che raccoglie l’acqua in un contenitore di plastica che viene misurata attraverso un cilindro graduato.
2) Due pluviometri basculanti: costituiti da un contenitore cilindrico, che convoglia l’acqua in una bascula, incernierata in un punto tale che ogni sua oscillazione corrisponda alla caduta di 0.1 mm di pioggia per un pluviometro e 0,2 mm di pioggia per l’altro.
 
pluviometroLa differenza tra pluviometri e pluviografi fatta nel passato sta scomparendo. Infatti, fino a circa 10-20 anni fa, si indicavano come pluviometri quegli strumenti che di fatto non avevano modo di registrare l'evoluzione temporale della pioggia e che venivano controllati a cadenza quotidiana. Diversamente il pluviografo era uno strumento che attraverso alcuni cinematismi meccanici, consentiva la registrazione della pioggia verificatasi in un certo intervallo di tempo (giornaliero, settimanale, ecc), su un'apposita striscia di carta millimetrata. Tali strumenti presentavano una serie di problemi, quali quelli manutentivi, di affidabilità e di lettura e trattazione dei dati. Infatti, tali operazioni dovevano essere fatte manualmente. Con lo sviluppo dell'elettronica prima e dell'informatica poi, i pluviografi sono andati sempre più affermandosi grazie alla facilità di gestione e di utilizzo; si è passati da strumenti meccanici a strumenti elettronici che consentono di archiviare dati su supporti digitali. Oggi la distinzione tra i due tipi di strumenti è di fatto quasi scomparsa e ha senso solo quando sono considerati i vecchi strumenti che non hanno una capacità di registrazione delle precipitazioni inferiori alle 24 ore.
 
 
 
CAPANNINA METEO

anemometro ad aereo

 Le caratteristiche della capannina sono:
 
Sufficiente robustezza;
Altezza sufficiente, i bulbi a non meno di 1,5 mt dal suolo;
Pareti a persiana, per una buona circolazione dell’aria;
Dipinte di bianco sia all’interno che all’esterno;
Sportello di apertura rivolto a Nord;
All’interno della capannina sono disposti, su supporti adeguati, i sensori termometrici, per evitare le radiazioni dirette ed indirette. I termometri collocati nella capannina meteorologica sono di due tipi: a minima e a massima. Sono, infatti, di particolare importanza perché consentono la lettura del valore massimo e minimo della temperatura che si raggiungono durante il corso della giornata.
 Il termometro a massima più comune è a Hg, quello a minima è ad alcool ed entrambi sono in vetro. Il termometro a massima e quello a minima sono a lettura visiva e registrano.
 Quello a massima è un termometro a Hg utilizzato per misurare la più alta temperatura verificatasi in un periodo di tempo determinato. In questo tipo di termometro il tubo capillare, al suo attacco con il bulbo, presenta una strozzatura.
 Quando la temperatura aumenta, il Hg del bulbo, per effetto della pressione che si viene a creare a causa della dilatazione, è forzato a passare attraverso la strozzatura e a spostarsi nel tubicino.
 Quando la temperatura diminuisce, il Hg contenuto nel tubo capillare non riesce ad attraversare la strozzatura e resta nel tubicino ad indicare la massima temperatura.
 
Preparazione del termometro a massima
 Si prepara afferrando per la metà superiore, ossia disposto con il bulbo in basso, e si impartisce alcuni energici impulsi. Viene così vinta la resistenza che la strozzatura oppone al moto del mercurio verso il bulbo e si ottiene il ricongiungimento del mercurio della colonnina con quello del bulbo.
 
Lettura
Dopo aver preparato il termometro a massima, lo strumento si sistema in posizione orizzontale per evitare che la colonnina staccata possa spostarsi per gravità lungo il capillare.
 
Il termometro a minima, utilizzato per misurare la temperatura più bassa verificatasi in un periodo determinato di tempo, è uno strumento che impiega alcool in quanto il punto di solidificazione, essendo più basso di quello dell’Hg, risulta più idoneo allo scopo. Il bulbo è, generalmente, foggiato a forcella onde aumentare la superficie a contatto con l’aria. Nel tubo capillare vi è un minuscolo indice di materiale leggerissimo, che alle estremità ha un piccolo rigonfiamento ed è interamente immerso nel liquido termometrico. Capovolgendo il termometro col bulbo in alto, l’indice scende nel tubicino fino ad adagiarsi, senza romperlo, sul menisco del liquido. Disponendo, allora, il termometro in posizione orizzontale, quando la temperatura diminuisce, l’alcool si ritrae e spinge l’indice verso il bulbo; al crescere della temperatura, il liquido termometrico fluisce oltre l’indice, senza muoverlo. L’indice, così, mostra con la sua estremità opposta al bulbo del termometro, la minima temperatura raggiunta, mentre il menisco del liquido indica la temperatura attuale. I termometri descritti si adoperano orizzontalmente e sono posti su un apposito sostegno metallico.termometri a minima e massima
 
PREPARAZIONE
 · Si prepara inclinando lentamente con il bulbo rivolto verso l’alto, in modo che l’indice, scorrendo nel capillare, venga a contatto con il menisco del liquido.
 LETTURA
 Si dispone in posizione leggermente inclinata, con il bulbo rivolto verso il basso, per agevolare il trascinamento dell’indice quando la temperatura diminuisce.
 
Storia del termometro
Nel 1593 Galileo Galilei inventò il primo termometro che venne poi perfezionato nel 1641 dal Granduca Ferdinando II, uomo sensibile alla scienza, impiegando l'alcool. Galileo utilizzava un cilindro di vetro contenente al suo interno un liquido la cui densità aumentava sensibilmente quando la temperatura esterna diminuiva. Nel liquido poi galleggiavano delle ampolline di vetro con racchiuso un liquido colorato e attaccate delle targhette numerate. Il loro scendere e salire per il caldo o per il freddo esterno permetteva di misurare la temperatura dell'ambiente.
Il suo funzionamento si basa sul principio di Archimede, per cui il bilancio dinamico fra forza di gravità e spinta di Archimede fa sì che un corpo galleggi o affondi in un mezzo fluido a seconda che la sua densità sia minore o maggiore di quella del mezzo fluido.
La densità del liquido (alcool per esempio) contenuto nel termometro varia con la temperatura. Aumentando la temperatura il liquido si rarefa e viene ad avere una densità minore di quella precedente e via via di quella delle varie sferette di cristallo immerse, che così affondano.
Le sferette sono costruite in maniera tale da differire leggermente di massa e quindi, a parità di volume, di densità: affonda prima quella di massa maggiore e quindi di densità maggiore, e tale andare a fondo corrisponde ad una certa temperatura che fa sì che la densità del liquido diventi minore di quella di tale sferetta. Ad ogni sferetta viene quindi attaccata un'etichetta che misura proprio l'instaurarsi di quella temperatura che determina questa condizione di affondamento. Più tardi nel Settecento si faceva ricorso al mercurio; il perfezionamento continuava fino ad arrivare ai nostri giorni quando l'elettronica e i suoi sensori sostituiscono ogni tipo di liquido.
 

Sensore UVB

Questo sensore è utilizzato per la misura dell’ UVB.
radiometroLa radiazione solare include la radiazione ultravioletta (UV), la radiazione visibile (luce), e la radiazione infrarossa (IR). La radiazione è caratterizzata dalla lunghezza d’onda, generalmente espressa in nanometri (1nm=10-9m). Nel descrivere gli effetti biologici la radiazione ultravioletta è spesso suddivisa in tre bande spettrali: UVC (100-280 nm), UVB (280-315 nm) e UVA (315-400 nm).
 
 
 
 
 
 I fattori che influenzano la radiazione UV incidente sulla superficie terrestre sono:
 Ozono atmosferico
La radiazione UV è assorbita e diffusa dall’atmosfera. La radiazione UVC viene completamente assorbita nell’alta atmosfera dalle molecole di ossigeno e di ozono (O3). Gran parte della radiazione UVB è assorbita nella stratosfera dalle molecole di ozono e solo una piccola percentuale raggiunge la superficie terrestre. La radiazione UVA attraversa liberamente l’atmosfera. Quindi, a livello di superficie terrestre la radiazione UV è composta principalmente da UVA e solo in piccola parte da UVB. La radiazione UVB è nota per essere dannosa biologicamente, mentre quella UV-A è molto meno dannosa, ma è nota per il suo potere abbronzante sulla pelle umana. L’intensità della radiazione UVB incidente sulla superficie terrestre dipende fortemente dal contenuto di ozono nell’atmosfera e quindi dallo spessore dello strato di ozono.
 Elevazione solare
L’elevazione solare è l’angolo tra un piano orizzontale e la direzione dei raggi solari. L’angolo zenitale solare (SZA) è spesso impiegato al posto dell’elevazione solare: è l’angolo fra la direzione dello zenith e la direzione dei raggi solari. Per ampie elevazioni solari la radiazione UV è più intensa perché i raggi solari devono compiere un tragitto più breve nell’atmosfera e quindi attraversano una minore quantità di sostanze assorbenti. Poiché la radiazione UV dipende strettamente dall’elevazione solare varierà anche con la latitudine, con la stagione e con l’ora del giorno, ed infatti è più alta ai tropici, in estate e al mezzogiorno.
 Altitudine
La radiazione UV incidente aumenta con l’altitudine perché la quantità di sostanze in grado di assorbirla decresce con la quota. Da alcuni rilevamenti emerge come l’irradianza UV aumenti di circa il 6-8% ogni 1000 metri di quota.
 
Diffusione atmosferica
La radiazione solare è costituita da una componente diretta e da una diffusa. La radiazione solare viene diffusa dalle molecole di aria, di aerosol e di vapor d’acqua. La componente diretta è costituita dai raggi solari che attraversano direttamente l’atmosfera senza aver subito diffusione ed assorbimento. La componente diffusa è costituita da raggi solari che sono stati sottoposti a diffusione prima di raggiungere la superficie terrestre. La diffusione dipende molto dalla lunghezza d’onda della radiazione. Il cielo sembra azzurro perché la radiazione azzurra è diffusa molto di più rispetto alle altre componenti. La radiazione UV viene diffusa ancora più facilmente e la radiazione UVB che giunge sulla terra è costituita da componente diretta e diffusa nel rapporto 1:1 (durante giornate serene).
 
Nubi e foschia
La radiazione UV incidente è maggiore se il cielo è sereno. Le nubi generalmente riducono la radiazione UV, ma l’attenuazione dovuta alle nubi dipende sia dallo spessore che dal tipo di nube. Nubi sottili o molto sparse hanno soltanto un piccolo effetto sulla radiazione UV che giunge al suolo. In certe condizioni e per brevi periodi, scarsa presenza di nubi può anche provocare un aumento della radiazione UV rispetto a quella che si avrebbe in condizioni di cielo sereno. In condizioni di foschia la radiazione UV è assorbita e diffusa dal vapor d’acqua e dagli aerosol provocandone una attenuazione.
 
Riflessione del suolo
Parte della radiazione che raggiunge il suolo viene assorbita dalla superficie del suolo ed in parte viene riflessa verso lo spazio. La quantità di radiazione riflessa dipende dalle caratteristiche della superficie. Molte superfici naturali come prati, suolo nudo ed acqua riflettono meno del 10% della radiazione incidente. La neve fresca, invece, può riflettere fino all’80% della radiazione incidente. Durante la primavera, in giornate di cielo sereno la riflessione della neve può far salire i valori di radiazione UV, su superfici inclinate, fino a valori estivi. Questo è molto importante ad alte altitudini e ad elevate latitudini. La sabbia può riflettere fino al 25% circa della radiazione incidente e può incrementare l’esposizione alla radiazione UV sulle spiagge. Circa il 95 % della radiazione UV penetra nell’acqua e circa il 50% arriva alla profondità di 3m (in acqua limpida).​

Cenni storici

 

La Specola universitaria, situata nei locali universitari del cortile del Salvatore su cui si affaccia l’attuale Dipartimento di Zoologia, fu istituita con decreto dittatoriale di Giuseppe Garibaldi dell’ottobre 1860 e assegnata, insieme alla cattedra di Fisica Terrestre, al prof. Luigi Palmieri.
ciro chistoniCon la morte del Palmieri, il 9 settembre 1896, la Specola universitaria fu diretta dal prof. Eugenio Semmola, fino al 1902, anno in cui la cattedra di Fisica Terrestre, con la Specola Universitaria, prese il nome di Osservatorio Meteorologico, diretto dal prof. Emilio Villari e dal 1905 dal prof. Ciro Chistoni.
Nel 1908, a causa dei crolli parziali dei locali della Specola, il prof. Ciro Chistoni (in figura) trasferì l’Osservatorio Meteorologico nei locali di S. Marcellino, sede attuale del Dipartimento di Scienze della Terra, facendo collocare nel giardino, al di sotto della tettoia meteorologica di suo modello, i termometri a minima e a massima, lo psicrometro ad aspirazione di Asmann, e il termoigrografo, e sulla terrazza superiore dell’edificio, l’anemometro, il pluviometro e gli apparecchi per la radiazione solare e la radioattività atmosferica. Nello stesso anno il prof. Chistoni trasformò l’Osservatorio Meteorologico in Istituto di Fisica Terrestre che nel 1972 confluì nel nuovo Istituto di Geologia e Geofisica, sotto la direzione del prof. Felice Ippolito. In seguito alla riforma universitaria del 1980 (Lex 382/80), il nucleo di Geofisica fondò con altri settori delle Scienze della Terra, l’attuale Dipartimento di Scienze della Terra.

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Osservatorio Meteorologico

Nel Bollettino periodico prodotto dall’Osservatorio Geofisico del Dipartimento di Geofisica e Vulcanologia dell'Universita' di Napoli " FEDERICO II " sono contenuti i risultati delle osservazioni meteorologiche.
Le coordinate della stazione sono:
LAT. 40° 50' 48" Nord
Long. 14°15'31'' EST
Quota 50 m s.l.m.
I dati sono rilevati mediante una stazione automatica SIAP attualmente attrezzata con i seguenti sensori:
§ -TEMPERATURA TM 7720 N.830111
§ -PRESSIONE ATMOSFERICA PA 5750 N.952100
§ -UMIDITA' RELATIVA UM 9730 N.932026
§ -VELOCITA' DEL VENTO VT 7705 N.900721
§ -DIREZIONE DEL VENTO VT 7710 N.901662
§ -PRECIPITAZIONE MOD. UM 7515 N.967069;
§ -RADIAZIONE SOLARE MOD. SO 3700 N.871218;

I dati, acquisiti con cadenza 10', vengono archiviati ed elaborati su un Personal Computer provvisto di software specifici

I dati meteorologici vengono organizzati in 7 sezioni e precisamente:
Sez I :Riepilogo dei valori medi mensili e relativi grafici riguardanti:
I-1: La velocita' e la direzione media mensile del vento ed i conseguenti valori (7.00 U.T., 13.00 U.T., 18.00 U.T.) e l'andamento grafico dei valori medi mensili e dei valori sinottici.
I-2: la pressione media mensile e stagionale ed i conseguenti valori medi mensili sinottici;
I-3: la temperatura media mensile, la media dei valori massimi mensili, i valori massimi registrati nel sin­golo mese, la media dei valori minimi, i valori minimi registrati nel singolo mese, la media dei valori mensili sinot­tici;
I-4: l'umidita' relativa media mensile, la media mensile dei valori massimi, i valori massimi registrati nel singolo mese, la media dei valori minimi, la media mensile dei valori sinottici;
I-5: la pioggia totale mensile, il valore massimo giornaliero rilevato per ogni mese e per ogni giorno,il numero totale per mese e per stagione dei giorni piovosi, il numero dei giorni con precipitazione < 9.9 millimetri, il numero dei giorni con precipitazione > 10 millimetri;
I -6: la radiazione massima mensile, la radiazione solare media rilevata alle ore 7.00 U.T. ed alle ore 13.00 U.T.
Sez.II : Riepilogo dei valori medi mensili biorari ed i grafici relativi all'andamento dei valori medi biorari dei parametri di cui in epigrafe.
Sez.III: Valori estremanti giornalieri e relative escursioni
Sez.IV : Valori massimi, minimi e medi giornalieri
Sez.V : Valori sinottici giornalieri rilevati alle ore 7.00 U.T., 13.00 U.T., 18.00 U.T. equivalenti alle ore 8.00, 14.00, 19.00 ora solare locale.
Sez.VI : Moda giornaliera della velocita' e della direzione del vento riferite a quattro intervalli orari, ognuno riferito a sei ore, e distribuzione percentuale dei venti in base alla direzione e rispettiva velocita', la cui classifica­zione e' quella stabilita da Smith e Pasquill (1974).
Sez.VII : Valori triorari della velocità e della direzione del vento

venti in base alla direzione e rispettiva velocita', la cui classifica­zione e' quella stabilita da Smith e Pasquill (1974).

Sez.VII : Valori triorari della velocità e della direzione del vento

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Riferimenti

Università degli Studi di Napoli Federico II  
Dipartimento di Scienze della Terra, dell'Ambiente e delle Risorse
Osservatorio Meteorologico "San Marcellino"
Responsabile Scientifico: Prof. Nicola Scafetta
Responsabile Tecnico: Dr Raffaele Viola

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