Biomonitoraggio della qualità dell’aria attraverso l’utilizzo del lievito fogliare Sporobolomyces roseus nell’area metropolitana della provincia di Napoli
Il termine “biomonitoraggio” indica l’insieme delle metodologie che utilizzano esseri viventi per trarne informazioni sullo stato dell’ambiente. Esso si basa sulle variazioni ecologiche indotte dall'inquinamento nell'ambiente (Manning & Fender, 1980).
Tali cambiamenti consistono in:
· modificazioni morfo-strutturali;
· accumulo di sostanze inquinanti;
· trasformazione della composizione faunistica e/o floristica di un dato ambiente.
Gli organismi impiegati per il biomonitoraggio vengono definiti “biomonitors” su cui gli effetti degli inquinanti si manifestano a due livelli a cui corrispondono due tipologie di tecniche:
1) di bioindicazione: valuta gli effetti di variazioni ambientali su componenti sensibili dell'ecosistema;
2) di bioaccumulo: valutazione quantitativa e qualitativa delle concentrazioni di sostanze inquinanti nei biomonitors detti "bioaccumulatori".
Un bioindicatore è un organismo che subisce variazioni evidenti del suo stato naturale (nella fisiologia, nella morfologia o nella distribuzione) sotto l’influsso delle sostanze presenti nell’ambiente.
Un bioindicatore deve presentare diverse caratteristiche per essere utilizzato: sensibilità agli agenti inquinanti, presenza diffusa nell'area di studio, scarsa mobilità nell’ambito dell’area di indagine, lungo ciclo vitale e uniformità genetica.
Si possono utilizzare biomonitors autoctoni ed alloctoni. I biomonitors autoctoni sono organismi già presenti nell'area da monitorare, mentre quelli alloctoni provengono da zone differenti e vengono inseriti dall'operatore nel sito di indagine.
In molti studi effettuati sull’inquinamento atmosferico già da tempo si è andata diffondendo l’utilizzazione in via sperimentale di organismi viventi, a supporto delle strumentazioni classiche di rilevamento.
L’uso di bioindicatori nello studio degli inquinanti atmosferici consente di valutare gli effetti combinati degli inquinanti sugli organismi viventi in modo diretto e immediato e permette un monitoraggio del livello di contaminazione su vaste aree in modo più meno semplice e veloce.
Lieviti del genere Sporobolomyces vengono usati per la rilevazione dello stato di contaminazione dell’aria che si ritrovano sulle foglie di molte piante arboree e erbacee. Lo Sporobolomyces è un valido indicatore soprattutto nelle aree urbane e industriali essendo molto sensibile all’anidride solforosa che inquina dette zone. D’altra parte questo lievito risente degli effetti delle sostanze inquinanti in misura molto maggiore delle piante che lo ospitano per cui, recentemente, è stato utilizzato come bioindicatore su piante presenti durante tutto l’arco dell’anno e nei vari tipi di territori perché è risultato molto semplice nelle modalità di utilizzazione.
La pianta più conforme è l’Urtica dioica, volgarmente conosciuta come ortica, in quanto:
· ha foglie larghe ma non spesse;
· ha una superficie fogliare non cerosa;
· è facile da trovare in ambienti del tutto eterogenei, compresi i bordi di strade e i marciapiedi cittadini;
· non ha cicli stagionali essendo così reperibile anche d’inverno.
Il nome deriva dal latino urere (bruciare) e dioica (in quanto porta su di un individuo solo fiori maschili o solo fiori femminili).
È una pianta erbacea perenne, alta fino ad un metro e mezzo, dal fusto eretto a sezione quadrata. Le foglie
sono opposte, spicciolate, a forma di
cuore, con stipole e margine seghettato a grandi denti triangolari. Sia il
fusto che le foglie sono ricoperti di peli urticanti,
il cui apice a capocchia si spezza al tocco più lieve emettendo un liquido
irritante. Appartiene alla famiglia delle Urticacee ed è presente in tutta
Europa, prolifera su terreni abbandonati e ricchi di sostanze azotate quindi dove c'è una certa attività di decomposizione
naturale di materiale organico. Cresce spontanea nei luoghi incolti in genere:
lungo le strade, i fossi, le siepi, vicino alle case e
nei boschi, dal mare fino ad un'altitudine di
Sporobolomyces roseus
è un lievito rosa, basidiomicete,
membro della classe Urediniomycetes,
presente in molti habitat differenti ma frequentemente associato con le piante:
normalmente lo si ritrova sulle foglie di varie specie erbacee o legnose, a
foglia caduca o perenni.
Esso vive come saprofita utilizzando
alcuni metaboliti presenti negli essudati dei vegetali esercitando, così, una
funzione di protezione nei confronti
dell’ospite, sia attivando una competizione vitale nei confronti della flora microbica
potenzialmente patogena, sia attraverso la sintesi di metaboliti con funzione
antibiotica ma anche creando una barriera fisica contro l’invasione di agenti
infestanti o infettanti (Corsini, Carradori,
Bruscoli, 1996).
La
raccolta delle foglie di ortica avviene tagliandole alla base, avendo cura di
non toccare la superficie
della foglia
stessa. Naturalmente si preferisce prelevare quelle più vicine al suolo in quanto più vecchie. Le foglie tagliate sono accuratamente
riposte in grandi buste sterili su cui è
di fondamentale importanza riportare la denominazione del luogo del prelievo.
Per ogni stazione è opportuno prelevare almeno 9
foglie di ortica. il materiale reperito, conservato in
frigorifero, è trasportato in laboratorio per procedere alla semina su terreno
di coltura.
In
laboratorio dalle foglie di ortica si ricavano, tramite una fustellatrice,
dischetti di
A questo
punto appoggiato il coperchio sulla piastra contenente il terreno di coltura si pone la capsula in termostato a
Dopo 4 giorni si effettua una prima lettura contando le colonie
color rosa crema.
Dopo 5 giorni dalla semina si effettua l’ultima lettura, poiché
questo, secondo la nostra esperienza, è il tempo sufficiente a far crescere
quelle colonie che risultano più lente a svilupparsi.
A cura
di:
Università
degli Studi di Napoli Federico II - Dipartimento d’Igiene – Osservatorio Ecotossicologico Universitario Federiciano–
www.erl.unina.it